Il Consiglio di Stato sull’art. 110 del D.lgs. 50/2016
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con sentenza n. 7520 del 03/08/2023, si è pronunciato sull’articolo 110 del D.lgs. 50/2016 chiarendo che lo stesso è finalizzato alla “prosecuzione” del medesimo contratto con un diverso operatore economico evitando alla stazione appaltante di dover esperire una nuova gara, con conseguente dispendio di tempo e di risorse economiche e finanziarie.
Nella sentenza è specificato però che l’art. 110 non si applica qualora l’amministrazione intenda modificare il precedente contratto.
In merito i giudici hanno ritenuto che l’appello principale è fondato e sono invece infondati entrambi i motivi dell’appello incidentale per i motivi che seguono.
Il giudice di primo grado ha interpretato l’art. 110, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 50 del 2016 come disciplinante un comportamento vincolato per la pubblica amministrazione, tale che, in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’appaltatore in corso di esecuzione, la stazione appaltante sarebbe obbligata, non solo a scorrere la graduatoria affidando l’esecuzione o il completamento dei lavori al concorrente interpellato, ma anche a tenere fermi “l’oggetto del contratto e le prestazioni contrattuali”, essendo impedite modifiche del progetto o di altra natura dell’originario affidamento.
Questa interpretazione non trova fondamento nella lettera e nella ratio legis e non tiene conto dei principi generali in tema di poteri di autotutela dell’amministrazione, il cui esercizio consente il recesso addirittura in pendenza di contratto (arg. ex art. 109 del d.lgs. n. 50 del 2016) e, in corso di procedura, nella fase precontrattuale, la revoca ex art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990 (cfr., per il rapporto tra i due istituti, già Cons. Stato, Ad.plen. 20 giugno 2014, n. 14).
Dal punto di vista letterale e della ratio legis la disposizione si presta ad un’interpretazione rigorosa, quale quella sostenuta nel precedente di questo Consiglio di Stato, III, 15 marzo 2021, n. 2231, citato in sentenza, secondo cui “per ragioni di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa è obbligatorio per la stazione appaltante avvalersi degli esiti della competizione espletata e attenersi alla graduatoria formulata, senza che sia possibile esercizio alcuno di discrezionalità, né sulle modalità da seguire per il nuovo affidamento (qual è ad es. l’indizione di nuova gara, come prevedeva l’art. 140 del pregresso codice), né sul procedimento di scorrimento della graduatoria, vincolato al rispetto dell’ordine di classificazione dei concorrenti, così come cristallizzatosi nella graduatoria” (come si legge nella motivazione che, come obietta il Consorzio appellante, non si occupa della diversa questione, oggetto del presente contenzioso, della permanenza del vincolo dell’interpello in caso di modifiche contrattuali).
Sia il Consorzio appellante che l’intervenuto sostengono che, quanto meno nell’ipotesi della risoluzione contrattuale, anche rimanendo intatte le prestazioni contrattuali, permarrebbe la “facoltà” della stazione appaltante di optare, nell’esercizio della sua discrezionalità, tra interpello e indizione di una nuova gara, per come si potrebbe desumere, tra l’altro, dall’art. 108, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016 che, appunto, in caso di risoluzione contrattuale, definisce come “facoltà” il ricorso all’interpello.
Negli scritti difensivi dei predetti, si afferma inoltre che la normativa sopravvenuta indurrebbe a confermare un’interpretazione sistematica più favorevole alla discrezionalità della stazione appaltante, considerato che:
- l’art. 5 del d.l. 16 luglio 2020 n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 pone, per gli appalti ivi previsti, l’indizione della nuova procedura di affidamento, in caso di risoluzione contrattuale, come modalità alternativa all’interpello per la prosecuzione dei lavori (oltre che alle restanti alternative ivi previste, dell’esecuzione in via diretta e dell’esecuzione commissariale), con le innovazioni del parere del collegio consultivo tecnico e dell’affidamento alle condizioni proposte dall’operatore economico interpellato;
- l’art. 124 del d.lgs. 31 marzo 2023 n. 36 (norma che, nel nuovo Codice dei contratti pubblici, corrisponde all’art. 110 del previgente) precisa, al primo comma, che l’interpello viene preso in considerazione dalle stazioni appaltanti “se tecnicamente ed economicamente possibile” e, al terzo comma, rinvia per i lavori sopra la soglia comunitaria all’art. 216, comma 2 e 3, che sostanzialmente riproducono il testo dell’art. 5 del d.l. n. 76/2020 di cui sopra.
Nonostante si possa convenire sulla controvertibilità della questione interpretativa dell’art. 110, comma 1, si ritiene che il caso di specie possa essere deciso anche senza affrontare il tema dell’applicabilità al contratto de quo dell’art. 5 appena citato ovvero dell’interpretazione dell’art. 110, comma 1, come disciplinante una facoltà piuttosto che un obbligo per la stazione appaltante, quanto meno in caso di risoluzione per inadempimento.
Difatti, nemmeno interpretando la norma come impositiva di un obbligo si potrebbe pervenire al risultato applicativo della sentenza oggetto del presente gravame.
Detto ciò, la disposizione si applica soltanto alla fattispecie ivi prevista, che presuppone che oggetto del “nuovo” affidamento siano le prestazioni già oggetto del contratto risolto per inadempimento del precedente appaltatore (cfr., in questi termini, con riferimento all’art. 140 del d.lgs. n. 163 del 2006, ma esprimendo principi validi, a maggior ragione, riguardo all’art. 110 in esame, Cons. Stato, VI, 22 marzo 2011, n. 2260, secondo cui si tratta di “[…] una disposizione avente natura eccezionale, [che] individua un’ipotesi nella quale i contratti dell’Amministrazione possono essere affidati senza l’ulteriore svolgimento di una gara ad evidenza pubblica, ed è quindi suscettibile esclusivamente di stretta interpretazione” e perciò può essere applicata “[…] esclusivamente qualora sia possibile stipulare con l’imprenditore, che ha presentato la seconda migliore offerta, un contratto avente lo stesso contenuto di quello concluso con l’aggiudicatario originale e poi risolto”).
L’esigenza che la disciplina del codice intende soddisfare è quella della prosecuzione di un contratto già in corso, a prescindere dallo stato più o meno avanzato dell’esecuzione, per come fatto palese dal riferimento normativo sia all’esecuzione che al completamento dei lavori servizi e forniture già affidati.
In siffatta eventualità si rinviene la ratio della norma (che consente l’interpello) di tutela dell’interesse pubblico alla “prosecuzione” del medesimo contratto con un diverso operatore economico “evitando alla stazione appaltante di dover esperire una nuova gara, con conseguente dispendio di tempo e di risorse economiche e finanziarie” (come detto in sentenza).
Tale ratio non si rinviene e l’art. 110 non si applica invece qualora l’amministrazione intenda modificare il precedente contratto.
Contrariamente a quanto affermato dal giudice di prime cure, l’art. 110 non preclude affatto all’amministrazione di rivalutare le proprie esigenze ovvero, a maggior ragione, di tenere conto di esigenze sopravvenute per il mutamento di situazioni di fatto, una volta che sia cessato il rapporto contrattuale instaurato a seguito della procedura concorsuale già conclusa.
In particolare, trattandosi di appalto di lavori, la disposizione non ne impedisce una nuova progettazione oppure l’affidamento a diverse condizioni, non solo tecniche, ma anche economiche.