Cassazione: Privacy e Diritto all’Oblio
Il diritto all’oblio, ai sensi dell’articolo 17 del GDPR, è il diritto dell’interessato a essere dimenticato che si configura come un diritto alla cancellazione dei propri dati personali in forma rafforzata. Questo diritto si ricollega strettamente con il diritto di ogni persona di chiedere la cancellazione di quei dati personali che non sono più necessari per il raggiungimento delle finalità che, in un tempo precedente, costituivano legittima base giuridica per quel tipo di trattamento.
Sussiste a riguardo l’obbligo per i titolari (se hanno “reso pubblici” i dati personali dell´interessato) di informare della richiesta di cancellazione altri titolari che trattano i dati personali cancellati, compresi link, copie o riproduzioni.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 3952 dell’8 febbraio 2022, si è pronunciata sull’argomento in relazione al caso di un utente del web che chiede alla società che gestisce un motore di ricerca di cancellare alcune notizie che lo coinvolgono in prima persona poiché ritiene che il fatto giudiziario di cui si fa menzione in rete risale a un tempo remoto e pertanto manca la base giuridica che renda necessario questo trattamento di dati personali. La società proprietaria del browser decide di non dar seguito alla richiesta e così l’interessato si rivolge direttamente al Garante per la protezione dei dati personali che riconosce il diritto all’oblio e ordina la rimozione degli URL e delle copie cache delle pagine connesse. La copia cache è una sorta di memoria interna al browser che consente di conservare i dati di una pagina web. Consente dunque di visitare la pagina anche quando questa è inattiva.
La questione finisce al cospetto della Cassazione, avendo il Tribunale di Milano rigettato l’istanza. La Suprema corte, a differenza di quanto precedentemente deciso dal Tribunale, riconosce il diritto alla deindicizzazione dei contenuti connessi alla posizione dell’interessato, ma solleva qualche dubbio sulla prospettiva di eliminare le copie cache in quanto risulta necessario soffermarsi su come sia stato effettuato il bilanciamento degli interessi in gioco prima di oscurare totalmente l’accesso all’informazione.
Il Tribunale di Milano, invece, aveva effettuato una preventiva valutazione delle forze optando per le ragioni dell’interessato e considerandolo in posizione di debolezza. Quest’ultimo aspetto viene contestato dalla Suprema Corte che ritiene che se è pacifico che si soppesino le due richieste, la deindicizzazione (rimuovere dei contenuti dall’indice dei motori di ricerca), è già di per sé un rimedio in grado di scongiurare la lesione lamentata dall’interessato. Ed è dunque giusto che il materiale resti disponibile utilizzando altri strumenti di ricerca.
Per la Cassazione questo si potrebbe considerare un giusto compromesso tra le parti. Va da sé che, facendo richiamo alla funzione nomofilattica dell’ultimo grado di giudizio, non è corretto accorpare, senza una preventiva valutazione nel merito, la deindicizzazione e la cancellazione della copia cache. È opportuno per tale motivo studiare gli interessi delle due parti prima di rimuovere totalmente il contenuto e impedendone l’accesso anche attraverso altre fonti di ricerca. La corte ha così rinviato la causa al Tribunale affinché fosse applicato il correttivo de quo.