Proposte migliorative e varianti negli appalti pubblici
Con sentenza n. 7602 del 15 novembre 2021, il Consiglio di Stato si è pronunciato nuovamente sui limiti applicativi dell’offerta tecnica migliorativa e delle varianti di gara da non valicare.
Il caso oggetto della summenzionata sentenza riguarda il ricorso presentato da un concorrente contro l’aggiudicazione della gara a un altro operatore economico, per avere conseguito un punteggio elevato sulla base di un’offerta tecnica migliorativa che rappresentava invece una vera e propria variante di gara.
Il Consiglio di Stato ha stabilito che, ai sensi dell’art. 95, comma 14 del Codice dei contratti pubblici, le stazioni appaltanti possono autorizzare o esigere nel bando di gara la presentazione di varianti da parte degli offerenti, e che, in mancanza di questa indicazione, le varianti non sono ammesse.
Le varianti difatti si sostanziano in modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della stazione appaltante.
Nel caso analizzato dai giudici però, la gara non aveva richiesto né autorizzato la presentazione di varianti, ammettendo invece solo la presentazione di migliorie.
Si specifica a riguardo che, in sede di gara d’appalto e quando il sistema di selezione delle offerte è basato sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, le soluzioni migliorative si differenziano dalle varianti perché:
- le prime consistono pertanto in soluzioni tecniche che, senza incidere sulla struttura, sulla funzione e sulla tipologia del progetto a base di gara, investono singole lavorazioni o singoli aspetti tecnici dell’opera, lasciati aperti a diverse soluzioni, configurandosi come integrazioni, precisazioni e migliorie che rendono il progetto meglio corrispondente alle esigenze della stazione appaltante, senza tuttavia alterare i caratteri essenziali delle prestazioni richieste;
- le seconde si sostanziano in modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della stazione appaltante.
Di conseguenza occorre valutare, come nel caso di specie, che se l’offerta dell’operatore economico partecipante a una gara pubblica contenga una variante inammissibile o una miglioria ammessa, il discrimine tra le due categorie non può essere affidato, (come ha erroneamente fatto il primo giudice nel ritenere che “lo scopo della gara de qua non era quello di avere questa o quella lavorazione sulla palestra, ma una palestra che fosse il più possibile efficiente dal punto di vista energetico e della sicurezza”), a una autonoma valutazione giudiziale dei bisogni che l’amministrazione intende soddisfare con l’indizione della procedura.
Ciò porrebbe infatti nel nulla le tutele connesse al principio secondo cui, in ragione delle preminenti esigenze di certezza connesse allo svolgimento delle procedure concorsuali, le clausole del bando di gara sono di stretta interpretazione, essendone quindi preclusa qualsiasi lettura che non sia in sé giustificata da un’obiettiva incertezza del loro significato letterale, che va pertanto preferito, a garanzia dell’affidamento dei destinatari, e segnatamente per evitare che la via del procedimento ermeneutico conduca all’effetto, indebito, di integrazione delle regole di gara, aggiungendo significati del bando in realtà non chiaramente e sicuramente rintracciabili nella sua espressione testuale. La lex specialis vincola non solo i concorrenti ma anche la stazione appaltante, la quale non ha alcun margine di discrezionalità nella sua concreta attuazione, non potendo disapplicare le regole ivi contenute nemmeno qualora esse risultino formulate in modo inopportuno o incongruo, potendo nel caso, semmai, ricorrere all’autotutela.