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La sentenza del Consiglio Di Stato sulla convalida del provvedimento di esclusione

By consulteam inAppalti pubblici

Il Consiglio di Stato, Sez. V, con sentenza n. 7891 del 22/08/2023 si è pronunciato  in merito alla convalida del provvedimento di esclusione ricordando come la convalida sia il provvedimento con il quale la pubblica amministrazione, nell’esercizio del proprio potere di autotutela decisionale ed all’esito di un procedimento di secondo grado, interviene su un provvedimento amministrativo viziato e, come tale, annullabile, emendandolo dai vizi che ne determinano l’illegittimità e, dunque, l’annullabilità.

Pertanto assumono pertanto rilievo, nel caso di specie, le regole generali per l’esercizio del potere di autotutela amministrativa dettate dall’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, da declinarsi con riguardo alla particolare figura di “autotutela” in concreto disposta dall’amministrazione, ossia la “conferma” di precedente atto (già sfavorevole per il privato) affetto da illegittimità.

Il caso rientra appieno nella previsione del comma 2 dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, a norma del quale “È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole”. Come statuito da questo Consiglio di Stato, tale disposizione consente alla pubblica amministrazione di convalidare i propri atti affetti da vizi di legittimità, attraverso una manifestazione di volontà intesa ad eliminare il vizio da cui l’atto stesso è inficiato; ciò, attraverso un “istituto di carattere generale, volto a rendere l’atto stabile a tutti gli effetti per i quali è preordinato, ogniqualvolta il pubblico interesse ne richieda il consolidamento” (sezione VI, sentenza n. 3385 del 2021). L’ampiezza della formula utilizzata dal legislatore, consente di ricomprendere nella convalida figure quali la sanatoria (che si verifica allorquando un provvedimento viziato per mancanza nel procedimento di un atto preparatorio viene sanato dalla successiva emanazione dell’atto mancante) e la ratifica (consistente nell’appropriazione dell’atto, emesso da un organo incompetente, ovvero fornito di una competenza temporanea e occasionale, da parte dell’autorità che sarebbe stata competente). La convalida continua invece a distinguersi, per struttura e funzione, da altri istituti limitrofi e segnatamente: dall’atto meramente confermativo, enucleato dalla giurisprudenza per impedire l’elusione della perentorietà del termine di ricorso, il quale non modifica forma, motivazione e dispositivo del provvedimento confermato (rimasto generalmente inoppugnato); dalla conferma propria, la quale non è comunque volta a rimuovere alcun vizio; dalla rettifica, che ha ad oggetto le difformità che non comportano l’invalidità del provvedimento originario ma solo la sua irregolarità; infine, dalla conversione che tiene fermo l’atto originario sussumendolo però sotto una diversa fattispecie legale.

Ancora viene specificato che la convalida è il provvedimento con il quale la pubblica amministrazione, nell’esercizio del proprio potere di autotutela decisionale ed all’esito di un procedimento di secondo grado, interviene su un provvedimento amministrativo viziato e, come tale, annullabile, emendandolo dai vizi che ne determinano l’illegittimità e, dunque, l’annullabilità (questo Cons. Stato, sez. IV, sentenza n. 6125 del 2018).

Sulla base di quanto sopra detto, non può dubitarsi che, nel caso di specie, l’amministrazione abbia posto in essere, del tutto consapevolmente (come emerge dal dispositivo dell’atto), una convalida del primo provvedimento di esclusione, da inquadrarsi pur sempre nell’ampio genus dei provvedimenti di autotutela; e ciò, in ossequio anche al principio di economia procedimentale, che consigliava di provvedere con un unico atto al fine di rimuovere il precedente provvedimento, affetto da vizi emersi a seguito della vicenda giurisdizionale, e di sostituirlo con uno nuovo che costituisse già il frutto della nuova edizione del potere amministrativo.

Di conseguenza, il relativo regime giuridico, è quello specificamente indicato dal comma 2 dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, che richiede unicamente il generico rispetto di un termine ragionevole, non necessariamente coincidente con quello di diciotto (o di dodici) mesi indicato dal comma 1, oltre che la valutazione delle ragioni di interesse pubblico.

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