Consiglio di Stato: Negli obblighi dichiarativi rientra anche la risoluzione consensuale
Il Consiglio di Stato Sez. IV, con sentenza n. 7709 del 05/09/2022, ha stabilito che nel perimetro degli obblighi dichiarativi rientra anche una precedente risoluzione consensuale intervenuta con altra stazione appaltante se la stessa sia dipesa da una condotta astrattamente idonea a fare dubitare dell’integrità ed affidabilità dell’operatore economico in vista dell’affidamento dell’appalto.
Nel caso di specie la stazione appaltante aveva escluso l’aggiudicataria, in applicazione dell’ art. 80, comma 5, lettera c-ter) del Codice, per non avere dichiarato una precedente risoluzione consensuale con altro Comune del contratto di appalto per il medesimo tipo di servizio.
A riguardo la stazione appaltante riteneva che la risoluzione consensuale disposta dal Comune, per quanto consensuale tra le parti, era comunque conseguenza di un inadempimento contrattuale e di fatto palesava un illecito professionale.
In primo grado, il TAR, respingeva il ricorso avverso l’annullamento e successivamente il Consiglio di Stato respingeva l’appello.
Secondo i giudici di Palazzo Spada, indipendentemente dalla causa specifica che ha condotto alla risoluzione consensuale del contratto tra la società e il Comune, non si è trattato di una risoluzione per impossibilità sopravvenuta ma, dopo che il Comune aveva in un primo momento qualificato la fattispecie come inadempimento, si è infine pervenuti, su proposta della società, a una risoluzione consensuale ai sensi dell’art. 1372, primo comma, c.c.) alla cui base permane comunque il fatto storico del mancato adempimento agli obblighi contratti con la stipula del contratto di appalto da parte della società appellante.
Non si può neanche negare il potere dell’amministrazione aggiudicatrice di qualificare tale fatto storico, riconducendo alla fattispecie di cui all’art. 80, comma 5, lettera c-ter), la condotta dell’operatore economico nei confronti di altro Comune.
Nella sentenza n. 16 del 28 agosto 2020, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, trattando degli obblighi dichiarativi al momento della partecipazione a una procedura di gara, ha chiarito che si tratta di “obbligo il cui assolvimento è necessario perché la competizione in gara possa svolgersi correttamente e il cui inadempimento giustifica invece l’esclusione”, precisando che “l’obbligo dovrebbe essere previsto a livello normativo o dell’amministrazione, attraverso le norme speciali regolatrici della gara. Nondimeno, (…) deve darsi atto che è consolidato presso la giurisprudenza il convincimento secondo cui l’art. 80, comma 5, lettera c), ora lett. c-bis), è una norma di chiusura in grado di comprendere tutti i fatti anche non predeterminabili ex ante, ma in concreto comunque incidenti in modo negativo sull’integrità ed affidabilità dell’operatore economico, donde il carattere esemplificativo delle ipotesi previste nelle linee guida emanate in materia dall’ANAC, ai sensi del comma 13 del medesimo art. 80”.
Il Collegio ritiene che non possa essere data una lettura formalistica del contenuto della lettera c-ter), se non a costo di pregiudicare il ruolo infungibile dell’amministrazione nella valutazione dell’affidabilità dei concorrenti.
Il Collegio ritiene, al contrario, di dovere aderire alle diverse conclusioni rassegnate in materia dalla più recente giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 4708 del 2022; similmente, Cons. Stato, sez. V, n. 2922 del 2021). L’art. 1372 c.c. prevede che il contratto ha forza di legge tra le parti e “non può essere sciolto che per mutuo consenso”. Il mutuo dissenso costituisce non un “contro-negozio” ma una forma di risoluzione contrattuale basata su una scelta di autonomia negoziale delle parti. La fattispecie in esame si caratterizza per il fatto che le parti possono decidere di caducare il vincolo contrattuale per qualunque ragione. Nell’ambito applicativo della disposizione può, pertanto, rientrare, sia la libera volontà di non proseguire la fase esecutiva del rapporto negoziale, sia la sussistenza di una causa di inadempimento del contratto.
Nel perimetro degli obblighi dichiarativi rientra, pertanto, anche una precedente risoluzione consensuale intervenuta con altra stazione appaltante in fase di esecuzione di una procedura di gara quante volte la stessa sia dipesa da una condotta astrattamente idonea a fare dubitare dell’integrità ed affidabilità dell’operatore economico in vista dell’affidamento dell’appalto.
Occorre quindi, secondo il Consiglio, aderire a una lettura sostanzialista delle cause di esclusione, che non sia circoscritta al mero nomen iuris.
Come già precisato in giurisprudenza in relazione all’obbligo dichiarativo di precedente provvedimento di esclusione da altra procedura di gara, viene comunque in luce il fatto storico in sé, con le sue connotazioni specifiche per le quali si è giunti alla risoluzione consensuale in fase di esecuzione, mentre non può essere riconosciuto un rilievo esclusivo alla tipologia di atto negoziale o provvedimento amministrativo che ne sia seguito. Ciò proprio in ragione della necessità che ogni episodio professionale critico del concorrente sia autonomamente apprezzato da ciascuna stazione appaltante.
La garanzia per i concorrenti, al fine di evitare che il rilievo sostanzialista dell’inadempimento al di là della qualificazione della risoluzione o scioglimento del precedente contratto, trasmodi in arbitrio dell’amministrazione aggiudicatrice, risiede nell’obbligo di motivazione in capo alla stazione appaltante, che è formalmente rispettato se l’atto reca l’esternazione del percorso logico-giuridico seguito dall’amministrazione per giungere alla decisione adottata e il destinatario sia in grado di comprendere le ragioni di quest’ultimo e, conseguentemente, di utilmente accedere alla tutela giurisdizionale (così, Cons. Stato, sez. V, 21 luglio 2020, n. 4668; sez. V, n. 2922 del 2021).