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Risarcimento Del Danno Per Violazione Della Privacy : Attenzione Alle Attività Di Recupero Crediti!

By consulteam inPrivacy

In tema di trattamento dei dati personali, di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, integra una violazione del diritto alla riservatezza e dell’art. 11 del cit. Cod. Privacy, il comportamento di un creditore il quale, nell’ambito dell’attività di recupero credito, svolta direttamente ovvero avvalendosi di un incaricato, comunichi a terzi (familiari, coabitanti, colleghi di lavoro o vicini di casa), piuttosto che al debitore, le informazioni, i dati e le notizie relative all’inadempimento nel quale questo versi oppure utilizzi modalità che palesino a osservatori esterni il contenuto della comunicazione senza rispettare il dovere di circoscrivere la comunicazione, diretta al debitore, ai dati strettamente necessari all’attività recuperatoria.

L’Ordinanza della I sez. civile della Corte di Cassazione n. 18783/21, si inserisce nel quadro delle diverse decisioni della giurisprudenza di legittimità che ritengono la violazione in materia di protezione dei dati personali meritevole di risarcimento del danno sia esso patrimoniale o non patrimoniale.

Nel caso specifico il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) viene ritenuto responsabile dell’invio di due comunicazioni via PEC dirette agli uffici di un Istituto scolastico che, sebbene avessero la finalità di recuperare un credito nei confronti di una dipendente dello stesso istituto, avevano rivelato informazioni personali relative ad un contenzioso intercorso con il MAECI, nel quale la dipendente era risultata soccombente e tenuta al pagamento delle spese di lite. In tal modo il Ministero utilizzando un canale di comunicazione istituzionale e con le modalità in concreto adottate, ha posto in essere un trattamento in violazione degli obblighi di rispetto della riservatezza gravanti sulla stessa Amministrazione, perché il dirigente scolastico ed il personale di segreteria addetto alla ricezione della corrispondenza avevano avuto accesso a delicati dati personali della dipendente.

La Suprema Corte fa riferimento alla ormai abrogata normativa di cui al Codice in materia di protezione dei dati personali che allora era vigente, per cui sostiene la violazione dell’art. 15 del d.lgs. n. 196/2013 oltre che la responsabilità aquiliana dell’Amministrazione ai sensi degli artt. 2043, 2050 e 2059 c.c.

Nello specifico la Suprema Corte richiama l’intervento dell’Autorità per la protezione dei dati personali che, con un provvedimento generale emesso in data 30 novembre 2005, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 154, comma 1, lett. c), ha prescritto le misure necessarie perché l’attività di recupero crediti, sia che si realizzi direttamente a cura del creditore, sia che venga attuata nel suo interesse da terzi, si svolga nel rispetto dei principi di liceità, correttezza e pertinenza fissati dall’art. 11, comma 1 cit., evitando comportamenti che possano ledere la riservatezza del debitore in merito alle sue vicende personali.

Il provvedimento è stato emanato proprio per contrastare l’esistenza di alcune prassi finalizzate al recupero stragiudiziale dei crediti, caratterizzate da modalità di ricerca e di presa di contatto invasive e, talora, lesive della riservatezza e della dignità personale.

 

 

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