Privacy: La Videosorveglianza In Azienda
La materia della videosorveglianza ha un impatto immediato sulla privacy che impone di affiancare le regole del GDPR all’altra normativa di riferimento, ossia lo Statuto dei Lavoratori (Legge n. 300/1970).
Se da un lato l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori pone il divieto generale del controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, dall’altro la norma, considera anche la necessità dell’imprenditore di installare impianti audiovisivi per altri fini espressamente indicati:
- Esigenze organizzative e produttive;
- Sicurezza sul lavoro;
- Tutela del patrimonio aziendale.
Ciò nonostante, non si esclude che dalla installazione dei summenzionati impianti possa derivare comunque una possibilità di controllo dell’attività dei lavoratori.
Di conseguenza la procedura prevista dallo Statuto è volta a verificare che l’installazione dell’impianto audiovisivo avvenga per i fini previsti e nel rispetto del diritto dei lavoratori alla privacy.
Il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali unitarie (RSU) o aziendali (RSA) devono:
- Sottoscrivere un accordo collettivo contenente la regolamentazione del funzionamento e dell’utilizzo dell’impianto di videosorveglianza;
- Qualora invece l’accordo non venga raggiunto, o nel caso in cui in azienda non siano presenti la rappresentanza sindacale unitaria (RSU) o aziendale (RSA), il datore di lavoro deve rivolgersi all’Ispettorato del Lavoro territoriale per chiedere ed ottenere un’autorizzazione all’installazione dell’impianto, depositando un’istanza ampiamente motivata.
La violazione di suddette prescrizioni è disciplinata e penalmente sanzionata dal combinato disposto degli artt. 4 e 38 della legge n. 300 del 1970.
L’accordo o l’autorizzazione sono necessari anche qualora l’impianto entri in funzione nelle fasce orarie in cui l’azienda è vuota, e per altro verso, è irrilevante che l’impianto installato non sia funzionante.
Non è quindi sufficiente che i dipendenti siano semplicemente a conoscenza dell’installazione dell’impianto grazie ad un comunicato o ad un cartello informativo.
Sul tema della videosorveglianza in azienda, si era già pronunciato il Garante con il provvedimento del 2010 richiamato da un più recente provvedimento del 22 Febbraio 2018, affermando che “ la rilevazione delle immagini può avvenire senza consenso, qualora sia effettuata nell’intento di perseguire un legittimo interesse del titolare o di un terzo attraverso la raccolta di mezzi di prova o perseguendo fini di tutela di persone e beni rispetto a possibili aggressioni, furti, rapine, danneggiamenti, atti di vandalismo, o finalità di prevenzione di incendi o di sicurezza del lavoro”.
L’applicazione delle norme passa attraverso il necessario bilanciamento di diritti che rappresentano la forma giuridica delle esigenze dei diversi attori sociali, quindi il dibattito ricade sempre sull’applicazione dello statuto dei lavoratori.
Il lavoratore, nel caso specifico, ha certamente il pieno diritto a svolgere le proprie mansioni senza essere controllato costantemente, così come è diritto delle maestranze sindacali e dell’Ispettorato del lavoro poter intervenire nelle vicende interne all’azienda, e specialmente quelle legate alla tutela dei diritti dei lavoratori.
Le esigenze del datore di lavoro però, allo stesso modo non possono essere annullate, avendo lo stesso il diritto di tutelare il proprio patrimonio aziendale.
La Terza sezione penale della Corte di Cassazione con Sentenza n. 3255/2021, si è espressa sul tema della videosorveglianza in azienda affermando che deve escludersi la configurabilità del reato concernente la violazione della disciplina di cui all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, “quando l’impianto audiovisivo o di controllo a distanza, sebbene installato sul luogo di lavoro in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali legittimate, o di autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro, sia strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale, sempre, però, che il suo utilizzo non implichi un significativo controllo sull’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti, o debba restare necessariamente “riservato” per consentire l’accertamento di gravi condotte illecite degli stessi”.